FABIO PICCIONI
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Montiferru




Geografie del dolore e teatri di rinascita


Sono passati quasi tre mesi da quando uno degli incendi più devastanti che si possano ricordare nell’Isola ha ridotto in cenere un’area così vasta che va dalla montagna al mare. Una distruzione tanto estesa da non permettere una stima esatta dei danni, né del tempo necessario perché la vita torni a manifestarsi. Non ci sono state vittime umane, ma non si contano quelle animali né la quantità di alberi, piante, fiori e sottobosco perduti. Secondo Coldiretti ogni anno gli incendi distruggono in Sardegna circa duemilasettecento ettari di vegetazione, ma l’ultima tragedia di fuoco ci ha privato addirittura di ventimila ettari di bosco e macchia mediterranea tra Cuglieri, Scano di Montiferro, Bonarcado e Santu Lussurgiu, mentre il comune di Sennariolo ha perso oltre tre quarti del suo territorio.
In questi tre mesi ci sono state polemiche, chiacchiere e anatemi. Ci sono stati anche fatti, per fortuna: indagini della Procura di Oristano, iniziative di solidarietà, attività di sensibilizzazione sui social e volontariato, che hanno mostrato la precisa volontà di reazione.
Fabio Piccioni a partire da fine luglio ha trascorso gran parte del suo tempo libero a documentare l’ingiuria subita dai territori di Tresnuraghes, Sennariolo, Scano di Montiferro, Bonarcado, Cuglieri, Santu Lussurgiu, Suni, Sindia, Flussio. Con il suo obiettivo ha colto la cenere a bordo delle strade, i cumuli di macerie annerite a ridosso delle case, il fumo che per giorni è salito al cielo, le cicatrici degli alberi e quelle della terra. Gli elementi umani come tralicci e costruzioni, all’interno delle foreste arse, sembrano monumenti funebri, memorie di un passato lontano ma che conserva un barlume di speranza: qualcosa da cui ripartire, magari con una cura maggiore.
Il modo che Fabio Piccioni ha di osservare la natura e il paesaggio è guidato dal più profondo rispetto e dalla più sincera empatia. Sa bene che la fotografia ha il compito di comunicare la realtà ma che può essere faziosa e manipolata in cerca di consensi e facili emozioni. Nel suo caso, però, l’intento è quello di raccontare una storia dove il protagonista principale è il silenzio.
Nessuna concessione al dramma oltre il dramma, nessuna interpretazione superficiale né atto d’accusa. Solo un silenzio profondo, assorto, meditativo, addolorato ma determinato: ecco infatti che tra i cupi tronchi degli alberi, la cui corteccia squarciata si offre all’osservatore come una macabra lezione di dissezione anatomica, si intravedono i nuovi polloni, le felci riconquistano timidamente un po’ di spazio, qualche chioma orgogliosa, di un verde intenso, si erge a sfidare il cielo perché questa narrazione abbia un futuro.
Il lavoro di ricerca infinito che Fabio Piccioni porta avanti con la fotografia esplorando zone impervie, così come grotte, miniere e fabbriche è rivelatore di un occhio sensibile alla storia della Sardegna, alle sue caratteristiche endemiche e al fenomeno di antropizzazione che la interessa, in una parola alla sua unicità.
Suoni, colori, profumi della vita che c’era e che tenta con fatica di riprendersi, si moltiplicano in una infinità di elementi. Questa vita straordinaria da difendere a ogni costo trova armonia nella sua unità, come nella perfetta esecuzione di un coro. In questo modo la geografia del dolore porta con sé la consapevolezza di comunità che sanno essere forti, e con essa una bellezza che, seppur ferita, riesce ancora a commuoverci.

Giacomo Pisano
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