FABIO PICCIONI
PHOTOGRAPHER

Notizie: Land of Mines incontra AIPAI

L'11 giugno 2022 Land of Mines è stato premiato alla Facoltà di Ingegneria della Sapienza di Roma come lavoro vincitore del concorso fotografico indetto per la II edizione degli Stati Generali del Patrimonio Industriale. Il contest fortemente voluto da AIPAI - Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale è stato realizzato in collaborazione con DICEA - Università Sapienza di Roma, MUSIL – Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia, Fondazione AEM e Fondazione ISEC.

Per me è stato un grande onore poter portare le nostre miniere all'attenzione di tante persone.

Ecco il link all'articolo di Fabrizio Trisoglio, presidente di Rete Fotografia e della giuria del contest che assieme a Palmina Trabocchi, responsabile del concorso, ringrazio di cuore per questo importante riconoscimento.

Articolo

Grazie AIPAI

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Articoli: Josef Koudelka, il fotografo senza nome - prima parte

Ci sono individui che hanno passato la propria vita a documentare eventi lontani. Persone che sentono l’esigenza di uscire dalla propria zona di comfort con la voglia di conoscere e raccontare. Alcuni di questi poi decidono di abbandonare tutto in cambio di un viaggio verso l’ignoto. Il fotografo di cui vi parlo oggi è uno di questi.



Parte prima

Josef Koudelka nasce in Cecoslovacchia nel 1938. Si laurea a Praga attorno ai primi anni sessanta, periodo in cui organizza la sua prima mostra fotografica. Mentre lavora come ingegnere aeronautico ottiene delle commissioni da diverse riviste teatrali per documentare il dietro le quinte delle grandi produzioni del Teatro di Praga, lavoro che riceverà un importante riconoscimento da parte dell’Unione Artisti Cecoslovacchi per la qualità innovatrice delle sue immagini. Successivamente intraprende i primi viaggi fotografici che lo porteranno a sviluppare uno dei temi portanti della sua carriera: le comunità rom d’Europa.

Dal 1962 al 1971 infatti racconta il vissuto delle popolazioni nomadi prima in Cecoslovacchia e poi in Romania, Ungheria, Francia e Spagna. Nelle sue foto traspare il ritratto vero e spontaneo di un popolo sempre contestato per via della sua natura anticonformista. E così feste religiose e spettacoli teatrali d’avanguardia coesistono con magia e culto della morte. Si dice che Koudelka in quella decade documentò gli anni d’oro delle popolazioni zigane armato solo della sua macchina fotografica, di uno zaino e di un sacco a pelo. Un periodo di prosperità agevolato dal regime comunista che difese queste etnie dal razzismo di cui furono vittima durante la seconda guerra mondiale. Nel 1989 però, la caduta dei regimi comunisti porta rapidamente i rom ad essere di nuovo additati, criticati e perseguitati.

Emarginazione, isolamento e alienazione coesistono tra le sue opere e la sua vita privata.

Nel 1975 pubblica “Gitans. La fin du voyage”, un documento senza precedenti che porta agli occhi del mondo la testimonianza di vita di intere popolazioni e della loro cultura. Il libro ha un impatto devastante tanto che l’allora direttore del Museum Of Modern Art di New York, John Szarkowski, curò personalmente una speciale edizione americana in accoppiata ad una mostra imponente: “Gypsies“. Collocata all’interno delle Steichen Galleries, l’esposizione composta da 43 opere circondate da semplicissimo passe-partout bianco rimase esposta al MOMA dal 28 febbraio al 30 aprile del 1975. Per questo lavoro, tre anni più tardi, Koudelka riceverà il prestigiosissimo Premio Nadar.











Adesso occorre tornare un attimo indietro. Attorno alla metà degli anni sessanta la Cecoslovacchia affronta un periodo di riforme noto come Primavera di Praga a cui fa seguito una severa repressione da parte di Mosca. Appena rientrato da uno dei suoi viaggi il giovane fotografo partecipa attivamente ai moti popolari che sconvolgono le vie della città, scattando immagini indelebili che mostrano al mondo la vera anima della Cecoslovacchia e la violenza della repressione dell’Unione Sovietica. Tutto sarebbe rimasto sepolto a Praga se le fotografie di Josef Koudelka non fossero uscite clandestinamente dai confini della nazione. Per paura di ritorsioni verso di se e la sua famiglia affida di nascosto i suoi negativi a Eugene Ostroff, curatore del Dipartimento di Fotografia allo Smithsonian Institution di Washington che per caso è in visita a Praga in quei giorni. Ostroff a sua volta consegna il materiale del fotografo nelle mani dell’allora presidente dall’Agenzia Magnum: Elliot Erwitt. Erwitt si impressiona così tanto per il lavoro svolto dal fotografo ceco che riesce a farsi consegnare tutto il resto dei negativi che ancora sono nascosti a Praga. Con l’aiuto e la volontà dell’agenzia Magnum Photos le immagini vengono pubblicate nell’agosto del 1969 sul periodico The Sunday Times in forma anonima per tutelare Koudelka e i suoi familiari. Appaiono solo due iniziali, P.P., Prague Photographer. Le fotografie faranno il giro del mondo su diverse riviste e testate ma resteranno senza nome per ben 22 anni.

Per aiutare il fotografo ad allontanarsi da quella situazione pericolosa Erwitt gli propone una sorta di borsa di studio per poter fotografare gli zingari dell’Europa dell’ovest. Con l’aiuto di un amico che lavora al Ministero della Cultura della Cecoslovacchia riesce ad ottenere un permesso di 80 giorni per poter stare fuori dalla nazione. Durante questo grande viaggio in Francia, Scozia e Irlanda riesce a raggiungere l’ufficio della Magnum di Parigi. È un momento delicato perché a Koudelka viene consigliato di non ritornare in Cecoslovacchia in quanto anche se le immagini sono state pubblicate in forma anonima per la polizia sovietica è solo una questione di tempo riuscire a risalire all’autore. Il fotografo decide allora di andare in Inghilterra dove richiede asilo politico. È il maggio del 1970. Ecco che si va a definire un altro dei temi portanti della vita dell’autore e delle sue opere: l’esilio.

Nel 1988, dopo tanti anni, le immagini della Primavera di Praga vengono pubblicate con il suo nome e cognome. Il libro “Exils” viene stampato dal Centre National de la Photographie in occasione di una mostra presentata a Parigi al Palais de Tokyo dal 16 marzo al 30 maggio dello stesso anno. È infatti solo dopo la morte del padre che il fotografo può dichiarare apertamente la proprietà di quelle immagini. Nello stesso anno “Exils” riceve il premio come miglior libro di fotografia dall’International Center of Photography di New York. Nel 1989 Koudelka ritorna in Cecoslovacchia dopo ben 19 anni di assenza. Non bisogna dimenticare che il 1989 è l’anno del cambiamento e della liberazione dalla morsa dell’URSS per moltissimi paesi dell’est Europa. Nell’agosto del 1990 le fotografie dei moti popolari vengono pubblicate per la prima volta nella nazione all’interno del settimanale Respekt.








Si potrebbe suddividere la carriera di Josef Koudelka in due fasi principali. La prima si è appena conclusa con “Gypsies” ed “Exils”, due lavori immensurabili. Cosa divide la prima fase dalla seconda? Innanzitutto il taglio delle immagini. Non si può infatti trascurare che Koudelka in questo periodo cambia completamente formato, e quindi visione. Siamo attorno al 1990 e finora lui ha prettamente utilizzato formati classici come il 24x36mm e qualche volta il 6×6. Da adesso in poi invece utilizzerà principalmente un formato panoramico. Per questi lavori si affiderà infatti ad una Fuji G617, apparecchio medio formato di eccellente qualità ad ottiche intercambiabili. L’utilizzo delle panoramiche divenne talmente una sua costante che Leica anni dopo adattò appositamente per lui una S2 trasformandola in panoramica, prototipo unico al mondo. Per comprendere meglio questa transizione bisogna però chiedersi perché Koudelka modifica l’aspect ratio delle sue immagini. Questa scelta è indubbiamente dettata dal cambio nell’oggetto delle sue ricerche. Se prima infatti egli era interessato a raccontare le persone e gli avvenimenti che le coinvolgevano, adesso Koudelka si interessa di più al paesaggio, anche se pur sempre antropico. Non è certo la prima volta che Koudelka utilizza apparecchi panoramici, ma è da questo momento che questo tipo di formato diventa sistemico del suo workflow.

Articolo apparso per la prima volta su Nemesis.

Fine prima parte.

Notizie: Montiferru, presentazione volume cartaceo

Sabato 23 luglio, ad un anno esatto dal primo grande incendio nel Montiferru, presento alla birreria Sant Miquel di Alghero il lavoro fotografico sugli incendi che ho prodotto l’anno scorso. Questo reportage è stato premiato e pubblicato da Artdoc Photography Magazine e ora ho deciso di stamparlo in una graziosa edizione cartacea prodotta da MyPhotoPortal. Credo nella piccola editoria, nella stampa e nella gioia di poter toccare, sfogliare e collezionare pagine di fotografie. Continuo inoltre a sostenere che il web non è lo spazio migliore per fruire di un progetto fotografico nella sua complessità.

L’evento di sabato si aprirà alle 19 con un talk moderato da Roberta Mela nell’allegro cortile di quello che ritengo da sempre essere il miglior pub di Alghero. L’edizione cartacea sarà lì con me, con una tiratura di sole 50 copie e molte foto inedite, pertanto a chi fosse interessato consiglio di venire ad aggiudicarsi la sua copia.

Per chi invece volesse assicurarsi un posto a sedere il pub consiglia vivamente la prenotazione.


Ci vediamo sabato ad Alghero!

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Notizie: "Land of Mines" vincitore del primo premio AIPAI

Il mio lavoro LAND OF MINES è appena stato premiato con il primo premio all'AIPAI PHOTO CONTEST 2022 per i 2°STATI GENERALI DEL PATRIMONIO INDUSTRIALE.

Per me è un grande onore sapere che le miniere della Sardegna abbiano preso una via cosi alta e istituzionale.

L'Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale AIPAI é sicuramente la realtà più importante che, assieme a Save Industrial Heritage si occupa di preservare e valorizzare il Patrimonio Industriale Italiano, tema a me è molto caro.

Tra le cose che verranno mi hanno informato che ci sarà una mostra al MUSIL di Brescia, vi terrò aggiornati.

Vi lascio con le parole che sono state pronunciate in relazione al mio lavoro e di cui ringrazio particolarmente Jacopo Bello:

"L'opera di Fabio Piccioni esalta un patrimonio industriale e ambientale unico al mondo, attraverso gli occhi di chi ama la propria terra e vuole che la sua bellezza sia conosciuta da tutti. Questo premio è anche un messaggio di vicinanza a tutti coloro che, spinti dalla passione, proteggono, promuovono e valorizzano un patrimonio ancora troppo spesso ignoto e in pericolo."

Un grazie anche a voi che sempre mi sostenete.

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News: vincitore concorso Dissonanze Urbane

Il mio lavoro sul cotonificio di Alghero ha vinto il primo premio del contest Dissonanze Urbane organizzato da Mind Progetti Fotografici.

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Articoli: Fotografia nell'anno zero. Tra innovazione e rinascita.

date » 02-01-2021 09:17

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L’anno che si è appena concluso è stato caratterizzato da un evento talmente straordinario da modificare la vita di tutte le persone. A partire dallo scorso febbraio infatti il SARS-CoV-2 si è diffuso su tutto il territorio italiano lasciando sul suo cammino decine di migliaia di vittime, determinando il collasso delle strutture sanitarie e causando gravissimi danni economici. L’impossibilità di incontrarsi e socializzare ha inoltre condizionato la quotidianità. Un’epidemia che ha messo alla luce le troppe crepe del sistema italiano creando forti dissapori tra gli individui. Come tutte le esperienze negative, però, questa situazione ha messo in atto dei cambiamenti nelle consuetudini ormai fin troppo consolidate di un paese che adesso ha la possibilità di migliorarsi e innovarsi.

La fotografia, sempre in equilibrio tra professione e forma d’arte, è stata letteralmente investita dal maremoto del virus fin nelle fondamenta. E ha reagito benissimo.

É doveroso innanzitutto ricordare i fotografi che hanno perso la vita nel corso del 2020, molti di questi a causa del Covid-19. Mario Proto, Paul Fusco, Guerino di Francesco, Henry Pessar, Pierpaolo Gianfreda, Mario Marai, Peter Beard, Vittorio di Tana, Bob Krieger, Bruno Barbey, Aurelio Pierluigi Carretta, Alessio Quadri, Abbas Attar, Silvano de Marco, Toni la Gatta, Pietro Lazzarini, Marcello Gianvenuti, Giovanni Umicini, Leo Caso, Sandro Polzinetti, Michelangelo Canciani, Alvise Bassi, Silvano Marini, Angelo Biglioli, Bruno di Carmine, Gabriele Pierro, Massimo D’Argenio, Lorenzo Salerno Vittoria, Fabio Artesi, Antonio Capuozzo, Giovanni Alberti, Andrea Samaritani, Frank Horvat. Le loro fotografie però restano per sempre, perché la fotografia è capace di fermare il tempo.

Sono tante le immagini che rappresentano gli avvenimenti dell’anno appena trascorso. Mentre i vasti incendi nell’Australia sud-orientale iniziano a spegnersi, la Cina isola la metropoli di Wuhan e quasi tutta la provincia di Hubei per un’epidemia causata da un nuovo ceppo di coronavirus. È la più grande quarantena nella storia dell’uomo. E mentre un terremoto di magnitudo 6.7 si abbatte in Turchia, due turisti provenienti dalla Cina risultano positivi al SARS-CoV-2 mentre sono in visita alla città eterna. L’Oms dichiara l’epidemia del nuovo coronavirus “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” negli stessi giorni in cui il Regno Unito esce dall’Unione Europea. Qualche giorno dopo, 56 cittadini italiani residenti a Wuhan vengono rimpatriati con un aereo militare e messi in quarantena alla cittadella militare della Cecchignola. Di questi, uno risulterà positivo e poi guarito. Nel frattempo all’ospedale civico di Codogno, nel Lodigiano, si presenta un cittadino di Castiglione d’Adda per una polmonite. È l’inizio. Appena tre giorni dopo c’è il primo decesso e i casi salgono a 19. Dopo altri soli due giorni i casi confermati sono 152 e le regioni coinvolte sono cinque: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Piemonte a cui si aggiungeranno nel giro di pochi giorni tutte le altre regioni italiane. Al 3 marzo i casi confermati in Italia sono 3089 e anche il resto del mondo comincia a fare i conti con l’epidemia: è l’inizio del cambiamento.

Nel mondo della fotografia nulla è come prima. Molte attività hanno chiuso i battenti per mancanza di clienti o perché semplicemente non possono permettersi di sostenere le spese ad attività chiusa. Poi i musei e le gallerie, chiusi anch’essi. Ecco che la mostra di Joseph Koudelka nella Bibliothèque Nationale de France a Parigi è stata sospesa, come tutte le altre. Per le fondazioni e i galleristi privati è un danno senza precedenti. Le spese per l’allestimento delle mostre vengono ammortizzate di norma con gli ingressi dei visitatori e con la vendita dei cataloghi. Poi viene la vita di un fotografo nei piccoli e normali gesti quotidiani. Non si possono incontrare clienti con facilità innanzitutto. Non si può viaggiare. Ogni prospettiva di lavoro imminente viene spesso rinviata o addirittura disdetta. Emblematica è stata la fine di Photokina, una delle più grandi fiere fotografiche del mondo che per 70 anni è stata un punto di riferimento per il mercato fotografico internazionale. L’edizione 2020 è stata cancellata a causa del virus ed è stata ufficialmente dichiarata la fine definitiva della kermesse tedesca.

Proprio quando le cose sembravano precipitare, però, la fotografia ha rallentato la caduta dimostrando tutta la sua capacità di adattamento. Ci sono infiniti esempi infatti di come questa ferita, seppur ancora sanguinante, sia stata fonte di innovazione e rinnovazione. Pensiamo al Festival della Fotografia Etica tra Lodi e Codogno, al Photo Vogue Festival 2020 che si è svolto online se tralasciamo la piccola esposizione ai giardini di Porta Venezia, entrambi un successo. Al BìFoto Fest di Mogoro che ha invece optato per vernissage e incontri online affiancando un’ampia esposizione sul territorio per le vie del paese. E poi le attività più frequenti. Cosa dire dei molti circoli e associazioni fotografiche che, dopo un periodo di spaesamento iniziale, hanno ripreso a riunirsi con l’ausilio delle piattaforme informatiche come Zoom, Teams, Skype e tante altre. Molti ritrattisti hanno svolto intere sessioni di ritratto attraverso la tecnologia delle webcam. I musei di tutto il mondo adesso hanno aggiornato i loro siti permettendo alle persone provenienti da tutto il mondo di poter fruire di una mostra, approfondendo gli argomenti e magari sfogliando anche il catalogo. Occorre soffermarsi su questo. Quello che inizialmente è stato un ostacolo ora è divenuto possibilità.

È di pochi giorni fa la notizia che Fondazione Forma per la Fotografia ha deciso di chiudere i propri spazi storici di via Meravigli 5 a Milano per diventare digitale. Nata nel 2005 e con oltre 120 mostre alle spalle, la galleria è ormai un punto di riferimento nel capoluogo lombardo. Forma ha deciso di cogliere questa opportunità per rinnovarsi e per l’immediato futuro ha già avviato un’ampia programmazione per un nuovo ciclo di incontri ed un nuovo progetto sulla mappatura fotografica della città di Milano.

Anche la formazione e gli incontri hanno cambiato completamente percorso e modus operandi. Tante le offerte attuali presenti sul web. Si parte delle molteplici talk ed eventi gratuiti sulle principali pagine dei social media per poi proseguire passando dai webinars e i workshop a pagamento fino ad arrivare ai corsi veri e propri, pensati per una fruizione a distanza. Ecco che ancora la parola ‘tragedia’ viene sostituita con ‘opportunità’. Quanti individui potevano permettersi prima di andare a visitare una mostra negli Stati Uniti, in Giappone o in Nuova Zelanda? Pochi. Quante persone con disabilità potevano permettersi di partecipare a dei corsi di fotografia in autonomia? Molto pochi. Adesso invece chiunque può prenderne parte e questa è una grande conquista nella vita di tutti gli individui. E così, come in una sorta di paradosso, la stessa pandemia che ci tiene schiavi nei confini delle nostre case ci apre al contempo molteplici porte mostrandoci orizzonti nuovi e permettendoci di raggiungere realtà prima irraggiungibili, abbattendo di fatto barriere e distanze.

A quasi un anno dal primo contagio si può asserire senza dubbio che il Covid-19 ha generato una nuova iconografia fotografica. Sono ormai celebri le fotografie di ospedali, di medici e infermieri stremati, di case di riposo e di anziani soli e indifesi, di morti e di internati, di file di bare scortate dall’esercito e di funerali senza seguito. A queste immagini si susseguono poi altre immagini di persone chiuse in casa, di canti nei balconi e di sviolinate sui tetti, di saracinesche abbassate, metropolitane vuote e città deserte.

Tante sono state le iniziative e le istituzioni che hanno dedicato fin da subito spazio e attenzione al tema della pandemia attraverso call ed esposizioni. Partiamo da ‘The COVID-19 Visual Project’ organizzato da Cortona On The Move in partnership con Intesa Sanpaolo, un archivio permanente sulla pandemia da coronavirus. Poi ‘Life in the time of coronavirus’ da parte di Roma Fotografia che da marzo a luglio ha raccolto oltre 10 mila immagini dando vita a tre esposizioni a Milano, Codogno e Roma. Gli stessi ora ripropongono una nuova call dal titolo ‘Freedom’. Al Photofestival 2020 di Milano che ha avuto come titolo ‘Scenari, orizzonti, sfide. Il mondo che cambia’. E ancora, ‘Covidiaries’ ad opera di Parallelozero. E così in tutto il pianeta.

Molti sono anche i progetti autoriali individuali che sono stati portati a termine durante questo periodo. I fotografi hanno colto l’occasione per raccontare delle storie permettendo a tutti di poter vedere quello che accade fuori dalle abitazioni e consentendo alle persone stesse di immedesimarsi e riconoscersi in quelle storie. Tutti sono coinvolti. Moltissimi scatti fatti con telefoni cellulari hanno fatto il giro del mondo e anche questi sono segni di una realtà che cambia dove conta sempre meno il mezzo e vale sempre di più il messaggio. Significativa in tal proposito è l’ultima campagna commerciale messa in atto da Xiaomi che ha coinvolto il fotografo Steve McCurry nel progetto ‘My unsung heroes’. Il progetto vuole promuovere tutti quegli individui che in questo periodo si sono distinti anche con piccoli gesti, eroi della vita quotidiana. Ecco come la fotografia, attraverso gli smartphones, è entrata nella vita di tutti.

Il Covid-19 ha sicuramente oscurato le molteplici altre realtà verificatesi durante il 2020 imponendosi a tratti come unico argomento all’interno dei principali mass-media. La fotografia però non ha trascurato questi fatti e sono stati tanti i momenti importanti che si sono alternati nel corso dell’anno. Pensiamo all’uccisione di George Floyd e a tutto quello che ne è conseguito. Ancora oggi le principali pagine di informazione fotografica riservano molto spazio alle immagini di un popolo che per troppo tempo è stato schiacciato per il colore della sua pelle, Black Lives Matter. Che dire poi di Donald Trump, dell’impeachment e delle successive elezioni americane. Poi ci sono i disastri petroliferi di Norilsk e delle Mauritius, l’inondazione del fiume Brahmaputra o il terremoto in Messico. E ancora, le esplosioni di Beirut e il colpo di stato in Mali.

In ultimo, ecco i principali riconoscimenti del 2020 per quanto riguarda il mondo della fotografia. Pablo Albarenga vince il Sony Photography Awards con la serie ‘Seeds of resistance’. Yasuyoshi Chiba e Romain Laurendeau vincono il World Press Photo. Chris Frost vince il Landscape Photographer of the Year e Galice Hoarau il Close-up Photographer of the year. Lo scatto del Francese Greg Lecoen vince il Siena International Photo Awards e Davide Bertuccio, Camilla Miliani, Pietro lo Casto e Matteo Montenero vincono il Premio Canon Giovani Fotografi.

Se dovessimo riassumere la fotografia nel 2020 con tre parole queste sarebbero innovazione, accessibilità e rinascita. Nonostante la tragedia e le perdite, un vento di cambiamento ha iniziato a soffiare sulla nostra terra. Vento di cambiamento, così recitava il brano ‘Wind of change’ della band dell’allora Germania ovest, gli Scorpions. Era il 1989 e per tutte le popolazioni che vivevano a est della cortina di ferro si avvicinava la fine tanto attesa di un durissimo e nero periodo della storia dell’uomo. Che questo possa essere motivo di speranza per il nostro paese e per il mondo intero. Affinché il sorriso non venga mai meno, affinché ogni difficoltà possa diventare opportunità e forza. Che il 2021 sia l’anno in cui il vaccino e il buon senso delle persone possa demolire il muro della malattia e di tutte le divisioni.

Buon cambiamento a tutti voi.


Articolo apparso su Nemesis Magazine il 01-01-2021

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