FABIO PICCIONI
PHOTOGRAPHER

Fotografia: Storia delle macchine da cucire


L'attività industriale della Necchi ebbe inizio dalle mente visionaria di Ambrogio Necchi che intraprese e continuò il mestiere di fonditore ereditato dal padre e dal nonno. Alla fine del 1880 prese in mano la fabbrica di famiglia nel centro di Pavia che dava lavoro a 170 operai e che costruiva pezzi di ricambio in ghisa per macchinari.

Nel 1919 Vittorio Necchi, figlio di Ambrogio, tornato dal fronte della prima guerra mondiale, e rimasto orfano di padre, si ritrovò sulle spalle la gestione dell'attività di famiglia. Inizialmente non aveva inclinazione per la meccanica ma era interessato soltanto agli studi classici, alla fotografia e all'allevamento di animali.

Dalla insistente richiesta di sua moglie per l'acquisto di una macchina per cucire gli venne l'idea di fabbricare una macchina per uso domestico utilizzando in parte la ghisa che producevano le fonderie di famiglia.

Un'idea pazzesca, che significava mettersi in competizione con macchine di rinomati marchi tedeschi, americani e russi.

Vittorio Necchi aprí così un piccolo stabilimento alla Torrettina, sulla via Vigentina con una quarantina di operai, dove prendendo spunto dalle macchine della concorrenza creò il modello "BD". I primi esemplari erano azionati a mano: attraverso una manovella applicata al volano, con la mano destra si produceva il movimento dell'ago, della spoletta e l'avanzamento per trascinamento del tessuto, mentre con la mano sinistra si controllava la sua posizione e l'indirizzamento.

Dopo qualche anno, superata l'iniziale diffidenza dei consumatori per il prodotto nazionale e offrendo un elevato rapporto qualità/prezzo si riscontrarono i primi risultati incoraggianti, tanto che nel 1924 la fabbrica si spostó nel nuovo sito di Piazza D'armi dove incremento sensibilmente la produzione.

La NECCHI divenne la macchina per cucire più imitata e ricercata in tutto il mondo. Dopo la seconda Guerra Mondiale, Necchi diventó la più grande fabbrica di macchine per cucire d'Italia: in grado di produrre piu di 1.000 macchine al giorno, con 4.500 dipendenti, 10.000 negozi di vendita ed un marchio conosciuto in tutto il Mondo.

*Questo testo è tratto dal sito ufficiale di Necchi Italia.

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Articoli: Fotografia nell'anno zero. Tra innovazione e rinascita.

date » 02-01-2021 09:17

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L’anno che si è appena concluso è stato caratterizzato da un evento talmente straordinario da modificare la vita di tutte le persone. A partire dallo scorso febbraio infatti il SARS-CoV-2 si è diffuso su tutto il territorio italiano lasciando sul suo cammino decine di migliaia di vittime, determinando il collasso delle strutture sanitarie e causando gravissimi danni economici. L’impossibilità di incontrarsi e socializzare ha inoltre condizionato la quotidianità. Un’epidemia che ha messo alla luce le troppe crepe del sistema italiano creando forti dissapori tra gli individui. Come tutte le esperienze negative, però, questa situazione ha messo in atto dei cambiamenti nelle consuetudini ormai fin troppo consolidate di un paese che adesso ha la possibilità di migliorarsi e innovarsi.

La fotografia, sempre in equilibrio tra professione e forma d’arte, è stata letteralmente investita dal maremoto del virus fin nelle fondamenta. E ha reagito benissimo.

É doveroso innanzitutto ricordare i fotografi che hanno perso la vita nel corso del 2020, molti di questi a causa del Covid-19. Mario Proto, Paul Fusco, Guerino di Francesco, Henry Pessar, Pierpaolo Gianfreda, Mario Marai, Peter Beard, Vittorio di Tana, Bob Krieger, Bruno Barbey, Aurelio Pierluigi Carretta, Alessio Quadri, Abbas Attar, Silvano de Marco, Toni la Gatta, Pietro Lazzarini, Marcello Gianvenuti, Giovanni Umicini, Leo Caso, Sandro Polzinetti, Michelangelo Canciani, Alvise Bassi, Silvano Marini, Angelo Biglioli, Bruno di Carmine, Gabriele Pierro, Massimo D’Argenio, Lorenzo Salerno Vittoria, Fabio Artesi, Antonio Capuozzo, Giovanni Alberti, Andrea Samaritani, Frank Horvat. Le loro fotografie però restano per sempre, perché la fotografia è capace di fermare il tempo.

Sono tante le immagini che rappresentano gli avvenimenti dell’anno appena trascorso. Mentre i vasti incendi nell’Australia sud-orientale iniziano a spegnersi, la Cina isola la metropoli di Wuhan e quasi tutta la provincia di Hubei per un’epidemia causata da un nuovo ceppo di coronavirus. È la più grande quarantena nella storia dell’uomo. E mentre un terremoto di magnitudo 6.7 si abbatte in Turchia, due turisti provenienti dalla Cina risultano positivi al SARS-CoV-2 mentre sono in visita alla città eterna. L’Oms dichiara l’epidemia del nuovo coronavirus “emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” negli stessi giorni in cui il Regno Unito esce dall’Unione Europea. Qualche giorno dopo, 56 cittadini italiani residenti a Wuhan vengono rimpatriati con un aereo militare e messi in quarantena alla cittadella militare della Cecchignola. Di questi, uno risulterà positivo e poi guarito. Nel frattempo all’ospedale civico di Codogno, nel Lodigiano, si presenta un cittadino di Castiglione d’Adda per una polmonite. È l’inizio. Appena tre giorni dopo c’è il primo decesso e i casi salgono a 19. Dopo altri soli due giorni i casi confermati sono 152 e le regioni coinvolte sono cinque: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Lazio e Piemonte a cui si aggiungeranno nel giro di pochi giorni tutte le altre regioni italiane. Al 3 marzo i casi confermati in Italia sono 3089 e anche il resto del mondo comincia a fare i conti con l’epidemia: è l’inizio del cambiamento.

Nel mondo della fotografia nulla è come prima. Molte attività hanno chiuso i battenti per mancanza di clienti o perché semplicemente non possono permettersi di sostenere le spese ad attività chiusa. Poi i musei e le gallerie, chiusi anch’essi. Ecco che la mostra di Joseph Koudelka nella Bibliothèque Nationale de France a Parigi è stata sospesa, come tutte le altre. Per le fondazioni e i galleristi privati è un danno senza precedenti. Le spese per l’allestimento delle mostre vengono ammortizzate di norma con gli ingressi dei visitatori e con la vendita dei cataloghi. Poi viene la vita di un fotografo nei piccoli e normali gesti quotidiani. Non si possono incontrare clienti con facilità innanzitutto. Non si può viaggiare. Ogni prospettiva di lavoro imminente viene spesso rinviata o addirittura disdetta. Emblematica è stata la fine di Photokina, una delle più grandi fiere fotografiche del mondo che per 70 anni è stata un punto di riferimento per il mercato fotografico internazionale. L’edizione 2020 è stata cancellata a causa del virus ed è stata ufficialmente dichiarata la fine definitiva della kermesse tedesca.

Proprio quando le cose sembravano precipitare, però, la fotografia ha rallentato la caduta dimostrando tutta la sua capacità di adattamento. Ci sono infiniti esempi infatti di come questa ferita, seppur ancora sanguinante, sia stata fonte di innovazione e rinnovazione. Pensiamo al Festival della Fotografia Etica tra Lodi e Codogno, al Photo Vogue Festival 2020 che si è svolto online se tralasciamo la piccola esposizione ai giardini di Porta Venezia, entrambi un successo. Al BìFoto Fest di Mogoro che ha invece optato per vernissage e incontri online affiancando un’ampia esposizione sul territorio per le vie del paese. E poi le attività più frequenti. Cosa dire dei molti circoli e associazioni fotografiche che, dopo un periodo di spaesamento iniziale, hanno ripreso a riunirsi con l’ausilio delle piattaforme informatiche come Zoom, Teams, Skype e tante altre. Molti ritrattisti hanno svolto intere sessioni di ritratto attraverso la tecnologia delle webcam. I musei di tutto il mondo adesso hanno aggiornato i loro siti permettendo alle persone provenienti da tutto il mondo di poter fruire di una mostra, approfondendo gli argomenti e magari sfogliando anche il catalogo. Occorre soffermarsi su questo. Quello che inizialmente è stato un ostacolo ora è divenuto possibilità.

È di pochi giorni fa la notizia che Fondazione Forma per la Fotografia ha deciso di chiudere i propri spazi storici di via Meravigli 5 a Milano per diventare digitale. Nata nel 2005 e con oltre 120 mostre alle spalle, la galleria è ormai un punto di riferimento nel capoluogo lombardo. Forma ha deciso di cogliere questa opportunità per rinnovarsi e per l’immediato futuro ha già avviato un’ampia programmazione per un nuovo ciclo di incontri ed un nuovo progetto sulla mappatura fotografica della città di Milano.

Anche la formazione e gli incontri hanno cambiato completamente percorso e modus operandi. Tante le offerte attuali presenti sul web. Si parte delle molteplici talk ed eventi gratuiti sulle principali pagine dei social media per poi proseguire passando dai webinars e i workshop a pagamento fino ad arrivare ai corsi veri e propri, pensati per una fruizione a distanza. Ecco che ancora la parola ‘tragedia’ viene sostituita con ‘opportunità’. Quanti individui potevano permettersi prima di andare a visitare una mostra negli Stati Uniti, in Giappone o in Nuova Zelanda? Pochi. Quante persone con disabilità potevano permettersi di partecipare a dei corsi di fotografia in autonomia? Molto pochi. Adesso invece chiunque può prenderne parte e questa è una grande conquista nella vita di tutti gli individui. E così, come in una sorta di paradosso, la stessa pandemia che ci tiene schiavi nei confini delle nostre case ci apre al contempo molteplici porte mostrandoci orizzonti nuovi e permettendoci di raggiungere realtà prima irraggiungibili, abbattendo di fatto barriere e distanze.

A quasi un anno dal primo contagio si può asserire senza dubbio che il Covid-19 ha generato una nuova iconografia fotografica. Sono ormai celebri le fotografie di ospedali, di medici e infermieri stremati, di case di riposo e di anziani soli e indifesi, di morti e di internati, di file di bare scortate dall’esercito e di funerali senza seguito. A queste immagini si susseguono poi altre immagini di persone chiuse in casa, di canti nei balconi e di sviolinate sui tetti, di saracinesche abbassate, metropolitane vuote e città deserte.

Tante sono state le iniziative e le istituzioni che hanno dedicato fin da subito spazio e attenzione al tema della pandemia attraverso call ed esposizioni. Partiamo da ‘The COVID-19 Visual Project’ organizzato da Cortona On The Move in partnership con Intesa Sanpaolo, un archivio permanente sulla pandemia da coronavirus. Poi ‘Life in the time of coronavirus’ da parte di Roma Fotografia che da marzo a luglio ha raccolto oltre 10 mila immagini dando vita a tre esposizioni a Milano, Codogno e Roma. Gli stessi ora ripropongono una nuova call dal titolo ‘Freedom’. Al Photofestival 2020 di Milano che ha avuto come titolo ‘Scenari, orizzonti, sfide. Il mondo che cambia’. E ancora, ‘Covidiaries’ ad opera di Parallelozero. E così in tutto il pianeta.

Molti sono anche i progetti autoriali individuali che sono stati portati a termine durante questo periodo. I fotografi hanno colto l’occasione per raccontare delle storie permettendo a tutti di poter vedere quello che accade fuori dalle abitazioni e consentendo alle persone stesse di immedesimarsi e riconoscersi in quelle storie. Tutti sono coinvolti. Moltissimi scatti fatti con telefoni cellulari hanno fatto il giro del mondo e anche questi sono segni di una realtà che cambia dove conta sempre meno il mezzo e vale sempre di più il messaggio. Significativa in tal proposito è l’ultima campagna commerciale messa in atto da Xiaomi che ha coinvolto il fotografo Steve McCurry nel progetto ‘My unsung heroes’. Il progetto vuole promuovere tutti quegli individui che in questo periodo si sono distinti anche con piccoli gesti, eroi della vita quotidiana. Ecco come la fotografia, attraverso gli smartphones, è entrata nella vita di tutti.

Il Covid-19 ha sicuramente oscurato le molteplici altre realtà verificatesi durante il 2020 imponendosi a tratti come unico argomento all’interno dei principali mass-media. La fotografia però non ha trascurato questi fatti e sono stati tanti i momenti importanti che si sono alternati nel corso dell’anno. Pensiamo all’uccisione di George Floyd e a tutto quello che ne è conseguito. Ancora oggi le principali pagine di informazione fotografica riservano molto spazio alle immagini di un popolo che per troppo tempo è stato schiacciato per il colore della sua pelle, Black Lives Matter. Che dire poi di Donald Trump, dell’impeachment e delle successive elezioni americane. Poi ci sono i disastri petroliferi di Norilsk e delle Mauritius, l’inondazione del fiume Brahmaputra o il terremoto in Messico. E ancora, le esplosioni di Beirut e il colpo di stato in Mali.

In ultimo, ecco i principali riconoscimenti del 2020 per quanto riguarda il mondo della fotografia. Pablo Albarenga vince il Sony Photography Awards con la serie ‘Seeds of resistance’. Yasuyoshi Chiba e Romain Laurendeau vincono il World Press Photo. Chris Frost vince il Landscape Photographer of the Year e Galice Hoarau il Close-up Photographer of the year. Lo scatto del Francese Greg Lecoen vince il Siena International Photo Awards e Davide Bertuccio, Camilla Miliani, Pietro lo Casto e Matteo Montenero vincono il Premio Canon Giovani Fotografi.

Se dovessimo riassumere la fotografia nel 2020 con tre parole queste sarebbero innovazione, accessibilità e rinascita. Nonostante la tragedia e le perdite, un vento di cambiamento ha iniziato a soffiare sulla nostra terra. Vento di cambiamento, così recitava il brano ‘Wind of change’ della band dell’allora Germania ovest, gli Scorpions. Era il 1989 e per tutte le popolazioni che vivevano a est della cortina di ferro si avvicinava la fine tanto attesa di un durissimo e nero periodo della storia dell’uomo. Che questo possa essere motivo di speranza per il nostro paese e per il mondo intero. Affinché il sorriso non venga mai meno, affinché ogni difficoltà possa diventare opportunità e forza. Che il 2021 sia l’anno in cui il vaccino e il buon senso delle persone possa demolire il muro della malattia e di tutte le divisioni.

Buon cambiamento a tutti voi.


Articolo apparso su Nemesis Magazine il 01-01-2021

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